di Andrea Allegro
Il termine “giovane adulto” ha origini abbastanza recenti: è nato negli ultimi anni per indicare quella fase di vita che separa l’adolescenza dalla vita adulta. Jeffrey Jensen Arnett (2000) ha definito Emerging Adulthood il periodo, tra i 18 e i 30 anni circa, in cui l’individuo sente di aver “lasciato” l’adolescenza, ma non si sente ancora del tutto adulto. Arnett lo definisce non come un semplice momento transitorio, bensì come una fase cruciale all’interno del ciclo di vita, soprattutto per quanto riguarda la formazione e lo sviluppo a livello identitario e relazionale, iniziato in adolescenza.
Già un po’ di anni prima, Erikson (1968) aveva distinto, senza dare un nome, un periodo a scavalco fra adolescenza e adultità, ma che non è propriamente né l’una né l’altra, in cui gli impegni e le responsabilità dell’adulto sono ritardati mentre la sperimentazione dei ruoli iniziata nell’adolescenza continua e si intensifica. Si tratta di una fase di esplorazione tra l’adolescenza e la prima età adulta, “durante la quale il giovane adulto, attraverso la libera sperimentazione dei ruoli, può trovare una nicchia in qualche settore della sua società”.
Prendendo in considerazione la società occidentale, non si può non riflettere su alcuni aspetti socio-culturali, economici e politici, che hanno portato negli ultimi anni a importanti modificazioni negli stili di vita, che hanno influenzato anche le traiettorie evolutive. I cambiamenti principali riguardano l’allungarsi dei percorsi formativi e l’ingresso tardivo nel mondo del lavoro, che, sempre maggiormente, non avviene più con il passaggio alla maggiore età, ma alcuni anni dopo. Questi aspetti, a cui si lega anche l’incertezza economica, hanno inevitabilmente portato a un rallentamento nel raggiungimento dell’indipendenza, tenendo il giovane adulto più a lungo legato alla famiglia d’origine.
Sarebbe illusorio e fuori dal tempo pensare che con l’adolescenza si chiuda quel processo che conduce a una piena individuazione e separazione. In effetti alcuni passaggi evolutivi importanti non terminano con la fine dell’adolescenza bensì proseguono negli anni successivi: ci riferiamo in particolare al definitivo sviluppo della propria identità come soggetto all’interno di una rete sociale, e alla realizzazione di sé in ambito personale, relazionale e sociale (Valde, 1996).
Ecco che questo periodo, che in passato era considerato come una sorta di limbo tra l’adolescenza e l’adultità, ha assunto a tutti gli effetti i connotati di una fase di vita a se stante che prevede specifici compiti, riguardanti ad esempio la separazione dalla famiglia d’origine e la costruzione di una propria autonomia e indipendenza, legata anche all’esplorazione dei propri interessi e alla possibilità di acquisire il proprio ruolo all’interno della società. Di fronte a questi passaggi evolutivi la persona può rimanere un po’ incastrata, incontrando delle difficoltà, in un momento che, se da un lato è caratterizzato dall’apertura e dallo slancio verso il futuro, dall’altro può contenere anche sentimenti di incertezza e instabilità. Gli inciampi evolutivi, più o meno consapevoli, possono portare a vivere un senso di disagio, talvolta dolore e sofferenza. Sappiamo che ogni persona è unica e diversa dalle altre e, se consideriamo il sintomo come la modalità migliore che la persona ha sviluppato per far fronte a qualcosa di doloroso, le manifestazioni del disagio possono essere molteplici e differenti: ansia, vissuti depressivi, comportamenti impulsivi, isolamento relazionale.
Tornando a considerare il contesto socio-culturale, non si può non riflettere su alcune caratteristiche della nostra società, sempre più richiestiva e orientata alla prestazione, che lascia indietro chi ha delle difficoltà o delle sofferenze. Questa visione del mondo costituisce un terreno fertile per favorire varie forme di sofferenza e vissuti di inadeguatezza e timore di fallimento, non solo per chi non raggiunge gli standard imposti, ma anche per chi paga un prezzo alto per essere sempre al top. Non sembra un caso se si sta assistendo a una crescita del disagio psicologico tra i giovani. Un esempio è il contesto universitario, dove la dimensione prestazionale può gonfiare la paura della competizione e del fallimento.
Tutti gli aspetti riportati fin qui vanno tenuti in considerazione nell’ambito della clinica con il giovane adulto, per poter creare uno spazio di ascolto e incontro, offrendo la possibilità alla persona di condividere, elaborare e pensare una serie di vissuti personali, anche dolorosi. Risulta centrale accompagnare il paziente verso una maggiore conoscenza e consapevolezza di sé e della propria sofferenza. Attraverso una posizione di ascolto empatico e privo di giudizio sarà possibile accogliere l’altro e farlo sentire accolto, partendo dalla sua richiesta d’aiuto e favorendo una maggior consapevolezza, oltre a una conoscenza più ampia di se stessi e dell’origine del proprio disagio.
Il giovane adulto attraversa una fase del ciclo di vita che presenta proprie specificità e caratteristiche che la differenziano dall’adolescenza e dall’età adulta, portando con sé alcuni passaggi che hanno a che fare soprattutto con la definizione della propria identità e di un proprio ruolo sociale. Nell’incontro terapeuta-paziente sarà poi possibile approfondire e comprendere il significato soggettivo di questi passaggi, spesso complessi, talvolta dolorosi, che possono essere un’importantissima opportunità di crescita.
Per approfondire:
Arnett, J.J. (2000). Emerging adulthood: A theory of development from the late teens through the twenties. American psychologist, 469.
Erikson, E.H. (1968). Identity: Youth and crisis. New York: Norton.
Valde, G. A. (1996). Identity closure: A fifth identity status. The Journal of Genetic Psychology, III(157), 245-254.